Elogio della nevrosi: vuoi avere successo? Punta sui tuoi difetti!

Ogni santo giorno, una donna africana andava a prendere l’acqua per il suo piccolo villaggio. Il fiume non era poi così distante e bastavano due ore per raggiungerlo. Portava l’acqua in due vasi di terracotta, appesi alle estremità di un bastone che teneva sulle spalle. 

Arrivava però a destinazione solo un vaso smezzo d’acqua e non due. Infatti, mentre il vaso di destra era perfettamente integro, il vaso di sinistra aveva una crepa e durante il tragitto perdeva metà del suo contenuto.

La donna non sembrava dolersene e tutti i giorni portava l’acqua al villaggio.

Naturalmente,  il vaso perfetto era orgoglioso dei propri risultati, ma il povero vaso crepato si vergognava del proprio difetto, ed era avvilito di saper fare solo la metà di ciò che avrebbe dovuto fare, di ciò che ci si aspettava da lui.

Passarono ben due anni perché trovasse il coraggio di parlare alla donna e così un giorno, lungo il cammino, le disse: "Mi vergogno di me stesso, perché questa crepa nel mio fianco fa sì che l'acqua fuoriesca lungo tutta la strada verso il villaggio".

La donna non si scompose, continuò a camminare e rispose sorridendo: "Ti sei accorto di quanti bei fiori ci sono dalla parte sinistra del sentiero? È perché io ho sempre saputo di questa tua caratteristica, perciò ho piantato dei semi dal tuo lato del sentiero ed ogni giorno tu li innaffi. 

In questi due anni, grazie a te, ho potuto raccogliere tanti bei fiori e decorare il nostro villaggio. Sai fare cose che il vaso integro non potrà mai fare. Se tu non fossi come sei, il nostro villaggio non sarebbe così bello".


Questa fiaba africana ci tocca nel profondo. Essa riguarda il nostro rapporto con gli altri, ma anche il rapporto con noi stessi. Le crepe del vaso possono rappresentare "difetti" di altre persone con cui ci relazioniamo, ma possono riguardare anche parti difficili di noi stessi.

Ognuno di noi ha i suoi vasi crepati, parti di noi che ci infastidiscono, che non riconosciamo. Ognuno di noi può scegliere di provare (normalmente invano) a ripararli, oppure può più produttivamente provare ad accettarli e scoprirne i talenti: possiamo scegliere di lamentarci e recriminare contro il destino che ci ha regalato quelle crepe o scegliere di imparare a volergli bene e iniziare a guardarle con un nuovo sguardo. Io fondo, nella fiaba, il vaso crepato sa fare cose che il vaso integro non è in grado di fare.


Da diversi anni sostengo la tesi secondo la quale gli individui crescerebbero maggiormente esprimendo i propri talenti, che non concentrandosi sul miglioramento delle proprie carenze. Ho concettualizzato questo tema tanto in ambito manageriale, quanto trattando di self empowerment.

Questa tesi si fonda sull'idea che, in fondo in fondo, le persone non cambino, che i tratti fondamentali della personalità siano fondamentalmente stabili, che le richieste di cambiamento siano destinate a tradursi in inevitabili delusioni.

Credo che ognuno di noi abbia sperimentato tutto ciò in occasione delle “prediche” che abbiamo ricevuto dai genitori, piuttosto che da un capo, da un insegnante, da un allenatore di questo o quello sport. Le prediche fondate su richieste come “dovresti essere più…”, “dovresti essere meno…”, non sei abbastanza…”, “sei troppo…”, sono destinate, nella migliore delle ipotesi, a lasciare le cose come stanno; nella peggiore, a determinare in chi le riceve un senso di frustrazione e di rivalsa che il più delle volte porta semmai a confermare ed accentuare i propri atteggiamenti "negativi", quasi ad affermare e rivendicare la propria identità non manipolabile.


Certo, so bene che gli individui non restano uguali a se stessi. Più che di cambiamento si tratta però, a mio giudizio, di crescita. Per questo le nostre crepe vanno accettate e comprese, non rifiutate: ognuno di noi ha i suoi semi di fiore da piantare lungo il proprio cammino.


Insomma, sono convinto che si cresca facendo l'esatto contrario di cambiare: si cresce allineandosi progressivamente con se stessi, con la propria autentica essenza, con quella parte di noi che contiene i nostri talenti, con la nostra identità più intima. 


Ognuno di noi può domandarsi quali siano i propri punti deboli, i propri limiti, le proprie carenze, quelle parti di noi che quando emergono, ci fanno scivolare, ci fanno adottare atteggiamenti inadeguati rendendoci talora anche grotteschi agli occhi degli altri.

Ognuno di noi ha il suo “sé ridicolo”, c’è poco da fare.

Il proprio sé ridicolo non si può eliminare e, secondo la mia esperienza, è illusorio anche pensare di poterlo per così dire comprimere, ridurre o trasformare. Il nostro sé ridicolo ce lo dobbiamo tenere: il nostro sé ridicolo non va limitato, va valorizzato!

Ma tutto ciò come si coniuga con una cultura tutta orientata al successo? Attenzione, c’è una relazione debole fra il successo e le migliori virtù.

In effetti, quanti personaggi in qualche modo “ridicoli” troviamo sulle copertine patinate delle riviste che ci raccontano il mondo dell’industria e dello spettacolo!

Di Steve Jobs conosciamo tutti il genio. Chi ha lavorato con lui ci svela però tratti imprevedibili della sua personalità. La sua ossessione per il controllo era prossima alla mania e il suo comportamento con i collaboratori era caratterizzato da un dispotismo al limite della violenza. La sua mania di grandezza che lo portava a darsi l’obiettivo di cambiare il mondo, aveva secondo alcuni qualcosa di evidentemente patologico.

Queste sue nevrosi hanno rappresentato il suo limite o un suo fattore di successo? Sono convinto che abbiano fatto la differenza, che fossero il suo speciale “strabismo di Venere”. Egli stesso in fondo, ci propone un elogio della pazzia con lo spot Apple del  1997 che recita testualmente: le persone così pazze da pensare di poter cambiare il mondo… sono quelle che lo cambiano davvero.

Silvio Berlusconi, dopo aver costruito un impero finanziario ed industriale, ha calcato da protagonista la scena politica per un ventennio. Si tratta certamente di una storia di straordinario successo.

Anche in questo caso, possiamo osservare tratti critici della personalità; essi sono stati addirittura studiati da diversi psichiatri. Si parla apertamente di disturbo narcisistico della personalità e di manie di persecuzione. Certo, in questo caso i giudizi possono essere dettati anche da antipatia politica e quindi essere espressi con particolare cattiveria, ma mi pare fuori di dubbio che il comportamento di Berlusconi sia stato caratterizzato da una stima di sé fuori dall’ordinario, senza la quale Berlusconi non sarebbe Berlusconi. Anche lui dispone dunque di un suo speciale strabismo.

Flavio Briatore si è dimostrato un talent scout assolutamente fuori dal comune. Fra le sue scoperte annoveriamo gente del calibro di Michael Schumacher e Fernando Alonso.

Ha avuto come partner alcune fra le più belle donne del mondo fra cui Naomi Campbell e Heidi Klum.

Le cronache rosa lo dipingono come irresistibilmente attratto dal lusso. La rivista americana di economia e alta finanza “Forbes”, che ogni anno stila la classifica degli uomini più ricchi al mondo, gli ha dedicato una prestigiosa copertina, riservandogli l’articolo principale dal non casuale titolo “La Dolce Vita”.

Senza questa sorta di ossessione per il lusso, Flavio Briatore sarebbe oggi Flavio Briatore? Credo proprio di no.

Potremmo naturalmente continuare a lungo con molti altri esempi. 


Qualcuno di noi ama schernire personaggi di questa caratura mettendone in evidenza i tratti più sconvenienti. Non a caso essi sono spesso oggetto dell’attenzione di imitatori e comici che talora li riducono a poco più che caricature. 

Questi personaggi hanno qualcosa in comune; non si tratta di autostima, essa ci aiuta a vivere in equilibrio, ma non abilita di per sé al successo. Occorre qualcosa di più, è necessaria una forma di autostima che rasenti il disturbo narcisistico della personalità. Questo paradossale fattore di successo nasce da una particolare percezione di sé da taluni opportunamente definita “Sé grandioso”. 

Per quanto distorta possa essere tale percezione, essa favorisce l'affermazione di chi ne è afflitto anche quando lo facesse apparire talora ridicolo. 

Queste caratteristiche non riguardano solo i personaggi da copertina. Ho conosciuto diversi manager con caratteristiche simili a quelle descritte. Essi si sentono al centro del mondo, giudici e arbitri. Per costoro, "gli altri" si dividono in due categorie: sciocchi  e farabutti. Gli sciocchi vanno ora compatiti, ora aiutati; dai farabutti bisogna difendersi. Altro, per loro, non c'è. 

La vera scelta rispetto a ciò che si vuole essere, non consiste pertanto nel reprimere o meno questa attitudine: essa c'è e, specie nei momenti di stress, è comunque destinata ad emergere. La scelta consiste invece nel modo in cui finalizzarla.

Ancora una volta, fa la differenza il modo in cui si guarda al proprio vaso crepato: ognuno usa i vasi crepati che ha. 

Le persone che ottengono risultati straordinari, sanno dunque dare valore ai loro vasi crepati. Chi non lo capisce, attribuisce il loro successo a fattori esterni come la fortuna, le amicizie "giuste" o la presunta scorrettezza. La realtà è un’altra: chi si vergogna del proprio sé ridicolo, cercherà di comprimerlo e diventerà la brutta copia di qualcun altro o di qualche stereotipo di successo; chi invece lo accetta e valorizza, potrà regalare il proprio talento al mondo.


Molti sono invece portati a pensare che il successo di un individuo derivi dalla sua speciale dotazione genetica, da quel quid in più che pochi possiedono a cui normalmente viene dato il nome di leadership.

Io sono un leader. Chi pronunciasse questa frase, confesserebbe al mondo la sua carenza di leadership. Da tempo sono infatti convinto che i leader non esistano. 

Capisco, può apparire affermazione bislacca. Provo a spiegarmi. 

Ho conosciuto molti uomini d'azienda, come si dice, capitani di industria, uomini sicuri di sé, capaci di prendere decisioni impopolari, ma giuste, rapidi nelle scelte, belli, abbronzati ed eleganti. Quando passando per i corridoi degli uffici, salutano un dipendente, magari ricordandosene il nome, gli lasciano un segno di imbarazzato orgoglio.

Si tratta di uomini che hanno saputo guidare le organizzazioni che dirigono, in cambiamenti difficili, seguendo la propria ispirazione, uomini che hanno saputo convogliare energie su progetti ambiziosi e coinvolgere i loro collaboratori sugli obiettivi dell'organizzazione.

Che grandi leader, verrebbe da affermare! Vero. Ma immaginiamo uno di questi personaggi, proviamo a visualizzarlo, osserviamolo mentre esce dalla sede dell'azienda, sale sulla sua potente auto, si dirige verso casa, ma lungo il tragitto si ferma. Parcheggia, scende dall'auto e si avvicina a un portone. Digita un preciso pulsante del citofono. Gli risponde una voce femminile: sei tu?

- Si, sono io cara

- Ancora qui? Ti ho detto di non seccarmi!

- Ma, sai, io...

- Allora non ti bastano le maleparole, vuoi essere preso a calci nel sedere!

- Guarda che mi sto separando, davvero...

- Basta dai, vai a casa, mi fai pena!

L'uomo risale in macchina e si avvia verso casa dove sua moglie lo aspetta. I bimbi sono già a letto, il figlio adolescente è in camera sua, ma non lo saluta neppure.

Vi pare una situazione impossibile? Quell'uomo è un leader o no?

Immaginate adesso un suo dipendente, un impiegatuccio dell'amministrazione. Non è interessato alla carriera, anzi preferisce avere poche responsabilità, lavora per guadagnarsi il pane. I colleghi lo guardano con un po' di compatimento, lo considerano poco più che una mascotte. Talora è vittima di qualche scherzo ed è considerato l'antitesi della leadership. Potete escludere con certezza che quell'uomo, quell’impiegato privo di ambizioni, possa essere il migliore dei padri, sappia educare i propri figli ai più sani principi e ai migliori sentimenti? Potete escludere che su di essi eserciti un morbido ascendente e che sia considerato un modello a cui ispirarsi? No, non si può escludere, E allora? Egli è un leader o no?


Per entrambi vale la stessa regola: i leader non esistono, esistono solo persone che in taluni contesti mettono in luce i talenti dei loro vasi crepati. Anche in questo caso, le etichette totalizzanti sono pertanto ingenerose e sciocche in quanto inevitabilmente parziali.

Ognuno di noi può far emergere i talenti del proprio vaso crepato, dare spazio al proprio sé grandioso e liberare il proprio sé ridicolo. Così facendo, talora, potremo esprimere leadership.

Ancora una volta occorre guardare oltre la facciata, esplorare i talenti latenti, immaginare inusitate sorprese, credere nell'inevitabile bellezza che alberga in ciascuno. Chi si accontenta di ciò che osserva e ne fa verità totalizzanti,  finirà con l'aderire a consunti stereotipi e cercherà la sua perfezione reprimendo questa o quella parte di sé. Ma soprattutto rinuncerà a quei tratti che fanno la differenza,  all'altra faccia della luna.

ipocrisia

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